CICLO IDROLOGICO, URBANIZZAZIONE E CAMBIAMENTO CLIMATICO

Nel ciclo idrologico globale si possono individuare due componenti diverse ma tra loro interdipendenti: una prima componente C1 relativa allo scambio di acqua tra oceani e terre emerse (evaporazione => condensazione => precipitazione) e una seconda componente C2 relativa allo scambio di acqua immediatamente sopra la superficie delle terre emerse (evaporazione locale => condensazione locale => precipitazione locale). Con riferimento alla componente C2 si può ipotizzare che alcuni effetti dei processi di urbanizzazione (aumento dello scorrimento superficiale, minore infiltrazione, minor evapotraspirazione, deforestazione, ecc…) riducano la circolazione di vapore acqueo sopra la corrispondente superficie con conseguenze non trascurabili sul clima. Del resto almeno due terzi delle precipitazioni che avvengono sulle terre emerse sono regolate dalla circolazione del vapore acqueo sopra la stessa superficie terrestre; eventuali perdite di vapore acqueo non possono che incidere sulla stessa distribuzione delle piogge e sul clima.

A livello globale, il ciclo idrologico può esser visto come un gigantesco meccanismo di separazione di materia. Con riferimento alla componente C1, ad esempio, il riscaldamento delle regioni tropicali indotto dalla radiazione solare porta alla evaporazione di acqua dalle superfici oceaniche che viene liberata nell’atmosfera; qui viene successivamente rimossa dalla circolazione atmosferica e quindi trasportata, nella parte inferiore dell’atmosfera, verso altre latitudini. Durante questi processi, a causa del raffreddamento dovuto all’espansione, una parte del vapor acqueo condensa formando nubi che determinano precipitazione sulle regioni equatoriali e alle latitudini medie e alte.

Attualmente tutta l’acqua esistente sulla Terra è distribuita in tre grandi e distinti serbatoi: gli oceani, le superfici terrestri e l’atmosfera. Questa distribuzione dell’acqua varia continuamente nel tempo come un tempo variò durante le varie formazioni e successive fusioni delle calotte polari. Come precisato in altra nota (vedi) tutta l’energia che muove il ciclo idrologico globale proviene sostanzialmente dal Sole. Mentre la radiazione solare procede verso la superficie terrestre, la componente ultravioletta viene in gran parte assorbita dall’ozono nell’alta atmosfera, con conseguente riscaldamento di quest’ultima; altra radiazione viene assorbita dalle molecole di acqua dell’aria; altra radiazione viene riflessa nello spazio dalle nuvole o semplicemente dispersa a quote inferiori. Buona parte della radiazione in arrivo dal Sole riesce comunque a raggiungere la superficie della Terra. Una parte di questa energia è destinata ad attivare l’evaporazione dell’acqua dagli oceani mentre, sul suolo emerso, la temperatura dell’aria, l’umidità e il vento condizionano i processi di evapotraspirazione. Le nuvole, di fatto serbatoi di acqua nell’atmosfera, a loro volta condizionano la radiazione solare che raggiunge la Terra o che parte dalla Terra.

La quantità di vapor acqueo nell’atmosfera varia molto, sia spazialmente che temporalmente. Il contenuto medio di vapore acqueo, calcolato per l’intera atmosfera, è in realtà piuttosto piccolo rispetto alla massa totale della stessa atmosfera; di conseguenza l’atmosfera rappresenta un serbatoio di acqua relativamente piccolo che contiene solo una parte esigua di tutta l’acqua che partecipa al ciclo idrologico (se tutto il vapor acqueo presente in un dato istante nell’atmosfera dovesse improvvisamente condensare si avrebbe comunque una modesta quantità di precipitazione, vedi la nota Vapore acqueo e urbanizzazione del suolo). Ma se la quantità di acqua nell’atmosfera è piccola  significativo risulta il trasporto di vapor acqueo per effetto delle circolazioni atmosferiche. L’influenza di questo vapore di acqua sul clima e sui fenomeni idrologici della Terra è enorme; esso rappresenta un fattore importantissimo per tutti i processi di irradiazione in quanto è fondamentale nella regolamentazione del bilancio energetico attraverso l’assorbimento, la trasmissione e la ritrasmissione della radiazione.

Con riferimento alla componente C1 quando in una certa zona del globo si verifica uno squilibrio fra precipitazione ed evaporazione, si attiva un trasporto netto di vapor acqueo verso di essa o partendo da essa. Si è già osservato che le principali grandi fonti di umidità per l’intera atmosfera si trovano al di sopra delle regioni subtropicali in corrispondenza agli oceani, dove l’evaporazione è forte e continua. L’umidità creata è rimossa dal luogo di origine e trasportata, sempre dalla circolazione atmosferica, in regioni dove converge prevalentemente condensando e precipitando come pioggia.

La componente C2 del ciclo idrologico è invece correlata a fenomeni più circostanziati e locali come, ad esempio, le nubi temporalesche. La componente C2 interessa quantità relativamente minori di umidità. Come è noto, affinchè si sviluppino fenomeni temporaleschi, è necessaria una certa instabilità termica  negli strati prossimi al suolo purchè con presenza significativa di acqua. In questo caso il vapore acqueo è necessario sia per la formazione delle gocce di pioggia e sia per dare ulteriore spinta verso l’alto alle masse di aria. Il vapore d’acqua, grazie al raffreddamento conseguente all’espansione della colonna d’aria, porta le masse di aria a raggiungere le quote di condensazione intorno ai 1000 e più metri. In questa situazione l’acqua presente nei processi di raffreddamento sviluppa calore latente durante la condensazione (energia che permette alla termica di salire molto più rapidamente accelerando ulteriormente i processi di espansione e raffreddamento). La salita si arresta nel momento in cui tutta l’energia si è esaurita ed è convertita in nubi e precipitazioni. La presenza di aria secca in quota e aria calda e umida al suolo può quindi comportare la formazione di celle temporalesche. Quando la dimensione ed il peso di ogni singola goccia di acqua condensata è tale per cui le correnti ascensionali non sono più in grado di sostenerla entro la nube, cade al suolo. Sintomatici sono particolari tipologie di temporali: ad esempio i temporali di calore. I temporali di calore sono prerogativa delle aree di pianura interne e a ridosso dei rilievi; si formano solo nelle più ore calde della giornata con durata media dei fenomeni valutabile in qualche decina di minuti.

Come  noto da vari decenni è in atto una repentina ed innaturale modificazione del clima terrestre; ciò che in particolare sta variando è la temperatura media al suolo e nelle parti basse dell’atmosfera. In linea generale una variazione di temperatura della superficie e nei 10 km di spessore della troposfera non può che avvenire a compensazione di una o più variazioni del flusso di radiazione termica uscente in sommità in caso di mutato assorbimento a partire dagli strati più bassi ovvero in caso di sbilanciamento tra flusso solare entrante e flusso totale uscente (flussi necessariamente uguali in situazione di equilibrio termodinamico). Questo sbilanciamento può essere motivato da variazioni del flusso solare incidente, da diversa concentrazione dei gas climalteranti, da variazioni nell’albedo della superficie terrestre o della stessa troposfera. Attualmente è stimato un aumento della temperatura media di circa 1,5 °C  rispetto alla situazione climatica preesistente nel diciannovesimo secolo. Aumento collegato, secondo lo stato dell’arte della scienza climatologica, all’attuarsi di concentrazioni diverse nei gas climalteranti (in particolare nell’anidride carbonica).

Ma ritorniamo al ciclo idrologico: come interagisce il ciclo idrologico con le forzanti radiative e con le variazioni della temperatura globale in atto? Elenchiamo alcune possibili modalità:

=> il vapore acqueo è esso stesso un gas serra e quindi un suo eventuale aumento globale in atmosfera avrebbe di per se una retroazione positiva sulla forzante radiativa in atto. Rinforzerebbe quindi, retroagendo, la stessa causa della sua variazione, e cioè l’aumento di temperatura;

=> le nubi possono riflettere la radiazione solare (albedo) e nel contempo possono assorbire e riemettere energia nell’infrarosso (onde lunghe). Quindi una variazione della copertura nuvolosa si comporterebbe in maniera non necessariamente univoca in rapporto alle forzanti radiative: da una parte rinvio di energia termica radiativa verso l’esterno dell’atmosfera e dall’altra maggior capacità di ritornare energia termica radiativa verso la superficie terrestre;

=> il ciclo idrologico interferisce con atmosfera e oceani e atmosfera e oceani sono masse fluide con elevata capacità termica. Ma l’atmosfera è dotata di una inerzia termica di alcuni giorni in risposta ad una forzante esterna; gli oceani e i mari in conseguenza della massa enorme rispondono invece su scale temporali diverse e comunque più elevate (anche decine di anni). Le forzanti (in primis le variazioni nella concentrazione di CO2) potrebbero portare il riscaldamento ad un punto di equilibrio nei prossimi anni pur essendo le stesse già in atto. In ogni caso queste due grandi masse fluide sono interdipendenti dal punto di vista termodinamico sia su scala giornaliera (attraverso evaporazione, cicloni, ecc…) sia su scala interannuale (El Niño, circolazione termoalina atlantica, ecc…);

=> l’aumento globale della temperatura provoca un aumento del livello del mare attraverso la lenta espansione termica degli oceani e mari e la possibile progressiva fusione delle calotte glaciali terrestri. Il fenomeno della progressiva fusione risulterebbe inoltre correlabile ad una parallela accelerazione dovuta all’effetto di forte diminuzione dell’albedo della superficie terrestre non più coperta da ghiacci a seguito della fusione;

=> le citate forzanti radiative ed il conseguente aumento delle temperature non possono non avere anche un effetto diretto sulla evaporazione dalla superficie terrestre e sulla pressione di vapore in atmosfera. Si tratterebbe in questo caso di un effetto diretto sul passaggio del vapore acqueo in atmosfera e quindi sulla dinamica del bilancio evaporazione/precipitazione.

Ma l’attuale riscaldamento può essere legato ad altri fenomeni che, anche in tempi passati, hanno causato cambiamenti climatici? Pare ad esempio confermato che le variazioni nella concentrazione di CO2 risultano correlabili con le variazione delle temperature nelle varie epoche geologiche passate (dalle analisi dei carotaggi dei ghiacci polari e dei fondali oceanici). I grandi cambiamenti di temperatura dell’era quaternaria sembrerebbero inoltre correlati a variazioni cicliche dei parametri dell’orbita terrestre con conseguente variazione della radiazione solare incidente (cicli di Milankovich). La Terra sarebbe passato da stati di glaciazioni a stati interglaciali con frequenza periodica anche con variazioni cicliche secondarie dei parametri orbitali. In questa ottica attualmente l’ultima glaciazione risulterebbe mancante con la concentrazione pre-industriale di CO2 di 280 ppm. E’ innegabile ritenere che i livelli attuali di CO2 (tra i 415 e i 420 ppm) non possono che essere causati dall’attività umana a partire dalla introduzione dell’agricoltura moderna e col progredire dell’industrializzazione.

Del resto da quando esiste l’Uomo sulla Terra sono sempre accertate e accertabili modificazioni di natura antropica all’ambiente naturale. Queste modificazioni hanno coinciso e coincidono con modifiche all’uso del suolo, con la perdita di aree verdi nel processo di crescita in particolare dell’urbanizzazione (particolarmente nelle zone ad alta concentrazione umana). E’ giustificato ritenere che detti processi potrebbero dar luogo a modificazioni climatiche caratterizzabili attraverso la definizione di stati di equilibrio più o meno stabili. I possibili cambiamenti climatici causati dalla crescita dell’attività di modificazione antropica del territorio non potrebbero non incidere sulle temperature, sulle precipitazioni e in genere sulle modalità con cui si sviluppa la fenomenologia meteorologica.

Alcuni studi relativi all’espandersi dei nuclei urbani nell’ultimo secolo, ed in particolare negli ultimi 50 anni, mostrano per temperature e precipitazioni un aumento della frequenza dei giorni caratterizzati da valori estremi. In genere, almeno finchè i cambiamenti nell’uso del suolo non superano determinate soglie, i parametri climatici rimangono più o meno stabili, ma se questo disturbo raggiunge una significatività apprezzabile e permane, il sistema non può che raggiungere un nuovo stato di equilibrio, con un corrispondente nuovo assetto climatico. I nuclei urbani generalmente crescono più o meno omogeneamente, alterando aspetti quali la morfologia stessa dei luoghi in cui sono inseriti, oltre alle condizioni ambientali e climatiche locali. Ma l’espansione urbana avviene solitamente per fasi (di tipo storico, di tipo economico o di tipo sociale) che determinano in genere le proporzioni di crescita e i diversi tipi di usi imposti al territorio. I cambiamenti climatici osservati nelle aree urbane riflettono generalmente ciascuna di queste fasi, ed è impossibile non notare che in un contesto in cui gli usi del suolo cambiano più lentamente, i parametri climatici possono trovare un nuovo stato di equilibrio che dura fino a quando non si verifica un nuovo significativo cambiamento.

Queste modificazioni climatiche correlate ai processi di urbanizzazione localmente prendono il nome di isole di calore (Urban Heat Island o UHI). Le UHI sono generalmente caratterizzate:

=> da intensità massima dell’isola di calore in tarda serata e nelle prime ore della notte;

=> da modificazioni negli ingressi laterali (ad esempio le brezze) destinate a modificare ulteriormente le temperature all’interno della stessa UHI;

=> da attivazioni di forzanti climatiche (in genere incidenti su temperature e sulle precipitazioni) coincidenti con quelle in cui si sono verificati i cambiamenti più repentini negli usi del suolo.

In ogni caso il clima caratterizzante l’ambiente urbano non può che essere il risultato dell’interazione tra le componenti della dinamica atmosferica locale, regionale e/o globale e nello spazio urbano costruito. Il clima urbano deriva principalmente dai seguenti cambiamenti nell’ambiente naturale:

=> rimozione della copertura vegetale,

=> introduzione di nuove forme e morfologie di rilievo,

=> concentrazione di edifici,

=> concentrazione di attrezzature e persone,

=> impermeabilizzazione del suolo,

=> canalizzazione dei deflussi superficiali, 

=> maggior rugosità superficiale,

=> concentrazione e accumulo di particelle e gas nell’atmosfera;

=> produzione antropica di energia.

All’urbanizzazione di aree originariamente ricoperte da vegetazione naturale consegue generalmente un aumento della temperatura di qualche grado (da 1 a 5 e più °C), con giornate mediamente più calde che possono quindi influenzare le precipitazioni convettive. La variazione nella distribuzione della temperatura è generalmente il cambiamento più significativo conseguente all’urbanizzazione. Questo processo di riscaldamento nella parte bassa dell’atmosfera ha conseguenze sull’umidità presente nell’aria, sulle condizioni di comfort umano, sulla stabilità atmosferica che consente lo sviluppo di nubi profonde e quindi nel verificarsi di eventi di pioggia intensa ovvero nella loro assenza. Oltre al riscaldamento nelle UHI si nota in genere l’accadere di notti mediamente più calde, più ridotta umidità relativa e quindi più ostacoli alla condensazione. L’aria inquinata, in genere più presente e caratterizzante le UHI, contiene più nuclei di condensazione e porta al frazionamento del vapore acqueo condensato tra un numero maggiore di nuclei di condensazione con meno acqua per nucleo e quindi con una maggiore probabilità che le goccioline risultanti più minute rimangano in atmosfera senza precipitare.

Gli stessi materiali utilizzati nelle attività di urbanizzazione incidono sul bilancio energetico e sul bilancio idrico locale poiché i materiali urbani  hanno normalmente proprietà radiative diverse da quelle riscontrabili nei materiali in ambienti meno antropizzati o allo stato naturale. Ciò tende in genere ad aumentare la frequenza delle giornate con massime molto elevate e a diminuire quelle con massime più miti. Per quanto riguarda le temperature minime nelle UHI in genere si osserva una tendenza positiva all’aumento. Infine con riferimento alle precipitazioni è segnalata normalmente una tendenza prevalente all’aumento della frequenza dei giorni con precipitazioni elevate e le precipitazioni estreme in genere sono indicate più frequenti mentre parrebbero diminuire le giornate con piogge deboli o minori.

In rapporto alle UHI si può quindi introdurre il concetto di ciclo idrologico urbano che, riassuntivamente, è caratterizzato da:

=> minore infiltrazione di acqua di pioggia nel sottosuolo;

=> maggior deflusso superficiale con piogge di significativa intensità;

=> abbassamento della sottostante falda per mancata ricarica;

=> modificazioni delle caratteristiche delle precipitazioni (in genere più frequenti e violente);

=> cambiamento locale del bilancio di energia e di calore;

=> aria mediamente più inquinata e carica di particelle in sospensione;

=> emissione significativa di gas serra,

=> alterazione della circolazione atmosferica;

=> maggior incidenza di tempeste convettive (con fulmini, tuoni e grandine);

=> aumento della rugosità;

=> aumento della presenza di aerosol;

=> tassi di evaporazioni mediamente maggiori;

=> tassi di evapotraspirazione minori o nulli;

=> ridotta o nulla umidità stoccata nel primo suolo;

=> presenza di anomalie termiche in riferimento alla prima falda;

=> cambiamento non trascurabile del regime idrologico;

=> riduzione della densità del reticolo idrografico ricevente a valle;

=> espansione in larghezza e profondità nei canali riceventi.

Fatte le necessarie premesse, con riferimento al ciclo idrologico e alle modificazioni indotte dall’uomo al territorio naturale attraverso i processi di urbanizzazione, si vuole ora valutare un possibile rapporto fra aree deserte o desertificate e le aree urbanizzate.

Con desertificazione si intende normalmente un processo di degradazione, in genere causato da attività umane, destinato a rendere desertico un suolo. Le cause principali, correlabili direttamente all’attività umana, sono generalmente la deforestazione, l’agricoltura intensiva, gli stessi processi di urbanizzazione, l’inquinamento e gli incendi boschivi. Ovviamente non è solo l’Uomo parte attiva in un processo di desertificazione in quanto si possono verificare variazioni di temperatura indotte che naturalmente accadono, siccità prolungate, la stessa erosione del suolo correlata agli eventi meteorologici.

Ai fini della presente nota un territorio desertificato o deserto in qualche modo è rapportabile o trova similitudini in un territorio urbanizzato. Infatti:

a) un territorio desertificato è contraddistinto normalmente da assenza di rete di drenaggio superficiale. Allo stesso modo un territorio urbanizzato è contraddistinto dalla presenza di rete di drenaggio prevalentemente di tipo interrato;

b) un territorio desertico è interessato normalmente da poca precipitazione. Anche un territorio urbanizzato, indipendentemente dalla presenza o meno di precipitazioni sostenute o persistenti, presenta analogie in quanto l’acqua di pioggia che può interessare l’ambiente urbano viene velocemente drenata ed allontanata venendo a mancare gli invasi correlati all’attività evapotraspirante della vegetazione;

c) un territorio desertico normalmente presenta quantità non trascurabili di acqua presente nelle falde sotterranee. Anche un territorio urbanizzato allo stesso modo non è deficitario d’acqua, quest’ultima normalmente d’origine antropica. La stessa acqua presente nell’ambiente urbano viene utilizzata prevalentemente per l’alimentazione, per i processi produttivi e per le lavorazioni igienico sanitarie;

d) un territorio desertificato presenta immancabilmente poca vegetazione. Allo stesso modo un territorio urbanizzato è normalmente interessato da limitata presenza di vegetazione, particolarmente in rapporto alla situazione pre-urbanizzata. In qualche caso, e per grandi superficie, la vegetazione arbustiva e arborea può essere addirittura del tutto trascurabile o assente;

e) in un territorio desertico normalmente gli inverni sono rigidi e le primavere sono secche e fredde; le estati sono usualmente calde. In un territorio desertico l’escursione termica annuale può essere considerevole come considerevole può essere l’escursione termica giornaliera. Caratteristiche analoghe potrebbero contraddistinguere le zone fortemente urbanizzate qualora derogassimo dagli apporti d’origine antropica di energia e calore (per riscaldamento, residenza, trasporti, produzione);

f) il drenaggio di eventuali acque di pioggia nel deserto è in gran parte sotterraneo. I fiumi superficiali nel deserto hanno normalmente scarso o nullo flusso; i torrenti di montagna nelle  aree desertiche si prosciugano rapidamente disperdendo le proprie acque nel terreno o in depressioni salate. Sostanzialmente analoghi risultati si possono riscontrare in una area urbanizzata dove l’attività di drenaggio rimane quasi tutta conferita a strutture sotterranee ed i deflussi superficiali distribuiti o concentrati sono sempre e comunque effimeri;

g) i colori prevalenti nei paesaggi desertici sono il bruno-grigiastro, il bruno carbonaceo, il gessoso, il ghiaioso, con forte presenza di rocce nude, piane di sabbia, dune di sabbia. Allo stesso modo il territorio urbano presenta generalmente tonalità relativamente calde non necessariamente chiare ma in genere lontane dal verde o dai colori del suolo naturalizzato con corrispondenti valori generalmente più elevati di albedo (similmente alle aree desertiche);

h) nel territorio desertico è normalmente bassa o nulla l’evaporazione, fortissimo il riscaldamento diurno e intensa l’irradiazione notturna (con conseguenti ampie escursioni termiche). Analogamente il territorio urbano, se deroghiamo dai contributi di calore ed energia di origine antropica, potrebbe considerarsi caratterizzato da forti escursioni termiche.

Il processo di urbanizzazione legato all’ampliarsi degli insediamenti umani riduce quindi l’evaporazione e l’evapotraspirazione nel momento in cui aree terrestri prima naturalizzate risultano coperte da edifici, strade, marciapiedi, ecc. Con superfici naturalizzate il vapore acqueo derivante da evaporazione  ed evapotraspirazione salendo in alto si trova a temperature inferiori rispetto alle superfici da cui proviene e disperde energia nell’atmosfera pur con tempistiche inferiori rispetto a quelle riscontrabili in superficie dove gli stessi processi evapotraspiranti stabilizzano la temperatura. Questo è il motivo per cui i deserti aridi diventano caldi di giorno ma di notte gelano mentre gli oceani alla stessa latitudine hanno una temperatura stabile. Inoltre quando il vapore condensa in quota c’è un rilascio di calore latente che in parte viene trasferito fuori dall’atmosfera attraverso le radiazioni a onde lunghe; l’atmosfera in alto è caratterizzata dalla presenza di molecole d’aria fredde che assorbono parte del calore latente irradiando il calore verso l’alto. Più in alto è situata una molecola d’aria più la radiazione sviluppata andrà verso l’alto perché l’aria sopra è ulteriormente meno densa e presenta meno ostacoli alla radiazione verso l’alto rispetto all’aria molto più densa al di sotto della molecola irradiante. Il processo di evaporazione => condensazione conferisce ai flussi di energia vantaggi nell’uscita dall’atmosfera.

Il rilascio di calore latente, trasferito con modalità non radiative, non influenza la temperatura e non ha alcun ruolo diretto nell’effetto serra costituendo una semplice integrazione al trasferimento del calore sensibile attraverso modalità radiative. Inoltre l’evapotraspirazione coinvolgendo calore latente si traduce sempre in una trasmissione di energia più rapida ed efficace rispetto alla trasmissione di energia per radiazione. Il ciclo idrologico naturale accelera il trasferimento di energia dalla superficie verso l’alto e verso lo spazio con modalità non radiative e in qualche modo fa la differenza nel trasferimento di energia dalla superficie allo spazio.

Il suolo naturalizzato mantiene maggior umidità in superficie e il ciclo idrologico risulta normale (precipitazioni regolari sottintendono clima mediamente più freddo, neve sulle montagne, ricca vegetazione ed ecosistemi equilibrati, ricarica delle falde acquifere). La copertura dei suoli indotta dai processi di urbanizzazione riduce evaporazione ed evapotraspirazione portando il clima pre insediamento a caratteristiche tipiche delle aree desertiche o desertificate.

Da quanto scritto in precedenza le aree urbanizzate possono considerarsi contributrici nette di gas climalteranti (in particolare per gli apporti di CO2 da riscaldamento, da produzione  industriale e da movimentazione veicolare). Ma allo stesso modo, con particolare riferimento alla componente C2 delle dinamiche del ciclo idrologico, le aree urbanizzate modificano, magari parzialmente e localmente, ma per sempre, le dinamiche del vapore acqueo. Meno vapore acqueo presente sui sedimi urbanizzati implica in media meno vapore acqueo nell’atmosfera sovrastante e quindi meno radiazioni termiche a onde lunghe verso l’alto, con minor trasporto di calore latente verso le parti alte dell’atmosfera e quindi valori maggiori di temperatura media al suolo, minor capacità dell’atmosfera di riflettere le radiazioni a onde corte ma anche maggiori valori di albedo al suolo e quindi maggior capacità di ritornare la radiazione a onde corte verso l’atmosfera. Anche mantenendo inalterata la componente C1 del ciclo idrologico non si può nondimeno non evidenziare che le modifiche alla componente C2 sui sedimi delle aree urbanizzate non possono che far ipotizzare diversi comportamenti della stessa componente C1 una volta che viene ad interessare le zone urbanizzate.

A questo punto si potrebbe evidenziare che l’entità delle aree interessate da urbanizzazione sull’intera superficie terrestre è trascurabile e di conseguenza non dovrebbe trovare motivate giustificazioni il rialzo di temperatura in corso correlato, almeno prevalentemente, ai soli processi di urbanizzazione. L’osservazione andrebbe però parzialmente rivista tenendo conto che:

=> in ogni parte del globo le aree urbanizzate normalmente modificano superfici dove, in condizioni naturali, è sempre forte l’azione evaporante e soprattutto evapotraspirante nello spostare grandi quantità di energia termica verso l’atmosfera (difficilmente abbiamo espansione urbana in ambito già desertico o montagnoso);

=> le aree urbanizzate a livello globale non sono comunque di trascurabile significatività areale. A livello europeo, ad esempio, si segnalano Stati dove il consumo di suolo è arrivato anche oltre il 15% del territorio. In Italia il consumo di suolo è stimato attualmente in poco meno del 10% della superficie totale del Paese. Analoga considerazione si può trarre per alcuni territori del nord america, del sud america e dell’estremo oriente. Rimane sempre valida la precisazione che dette superfici interessate da consumo di suolo in origine erano sempre superfici caratterizzate da forte azione evaporante ed evapotraspirante;

=> l’urbanizzazione è sempre correlata a contestuale attivazione della produzioni di energia termica di origine antropica e ad aumenti localizzati significativi della temperatura media ambientale (anche di 3 e più gradi centigradi). Sia la maggior energia termica di origine umana in gioco e sia l’energia termica che il rialzo localizzato delle temperature comporta, ancorchè stabili nel tempo, non possono non influire dal punto di vista termico sul contesto circostante poco o per nulla urbanizzato.

Del resto che l’urbanizzazione non possa che considersi perlomeno indiziata come causa dei rialzi della temperatura media terrestre (che quindi non sarebbe solo o esclusiva conseguenza alle variazioni di concentrazione dei gas clima alteranti come la CO2) lo si è constatato anche nella nota Crescita demografica e curva di Keeling (vedi) dove è stato evidenziato il legame fortemente lineare fra andamento del tasso di CO2 deducibile dalla curva di Keeling e la numerosità degli esseri umani che risiedono in aree urbanizzate su scala mondiale. Riproponiamo in Figura 1 i valori di CO2 ricavati dalla curva di Keeling in rapporto alla numerosità di popolazione globale residente in aree urbanizzate tra gli anni 1970 e 2020.

Figura 1

Sempre a livello globale altri parametri presentano un andamento fortemente lineare con l’andamento dei valori di CO2 misurati. E’ possibile ad esempio porre l’attenzione sulla produzione  del bitume a livello globale (dati ottenuti dal sito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, vedi ) e tentare di correlare l’aumento della stessa produzione alle variazioni di CO2. Il bitume è elemento fondamentale per la produzione delle superfici bituminose stradali e per ottenere superfici impermeabilizzate; le superficie stradali bitumate e impermeabilizzate con derivati dal bitume sono uno degli indicatori più attendibili circa l’attività di impermeabilizzazione dei suoli correlata ai processi di urbanizzazione. Tra il 1995 e il 2015 risultano prodotte e impiegate, a livello mondiale, le seguenti quantità di bitume (valori espressi in in tonnellate):

1995-424.215.000 t; 2000-460.704.000 t; 2005-495.669.000 t; 2010-505.213.000 t; 2015-444.459.000 t.

Le tonnellate di bitume scritte a lato di ogni anno corrispondono alla somma della produzione mondiale di ognuno degli anni che compone il lustro precedente. In termini di progressione di crescita delle superfici bitumate abbiamo i seguenti valori:

1995-424.215.000 t; 2000-884.919.000 t; 2005-1.380.0599.000 t; 2010-1.885.801.000 t; 2015-2.330.260.000 t.

Se rapportiamo questi ultimi alle corrispondenti concentrazioni di CO2 ottenute dalla curva di Keeling nei corrispondenti anni, ovvero

1995-356,62 ppm; 2000-364,67 ppm; 2005-373,71 ppm; 2010-384,01 ppm; 2015-394,41 ppm

si ottiene il grafico di Figura 2.

Figura 2

Legami meno lineari ma comunque con corrispondenza non irrilevante si possono trovare, ad esempio, fra andamento della concentrazione di CO2 e aumento della produzione e consumo globale di cemento (altro prodotto correlabile all’aumentare delle superfici urbanizzate). In questo caso la linearità risulta meno forte in quanto l’incidenza del consumo e utilizzo di cemento non è univocamente correlato all’impermeabilizzazione del suolo, normalmente esprimibile in termini di superficie impermeabilizzata, e quindi non risulta univocamente correlato alle modificazioni indotte nel ciclo del vapore acqueo.

Il lettore potrebbe contestare i legami fortemente lineari deducibili nelle figure precedenti evidenziando che il tasso di aumento della popolazione urbana nel mondo e il tasso di aumento della produzione globale di bitume non possono che risultare  necessariamente correlati all’aumento della concentrazione di anidride carbonica derivata dalla curva di Keeling (se non altro per il fatto che l’incremento a livello mondiale di popolazione urbana e l’incremento a livello mondiale della produzione di bitume sono necessariamente collegati a loro volta ad una contestuale produzione di anidride carbonica di origine antropica). In realtà dobbiamo ricordare che l’attività di urbanizzazione se incide, non può che incidere immediatamente sulle modificazioni del ciclo idrologico portando ai rialzi della temperatura media. Infatti le influenze sul clima sono correlabili ad eventi a scala giornaliera e non con periodicità decennale; di converso l’aumento dell’anidride carbonica (e a seguire l’aumento delle temperature) non potrebbe che andare a regime con tempistiche decennali tenendo conto dell’inerzia indotta dai grandi invasi di CO2 costituiti da oceani e mari.

E’ più credibile ipotizzare che l’urbanizzazione incida da subito sul rialzo delle temperature medie e che le concentrazioni di CO2 si modifichino in maniera rapida seguendo l’aumento delle temperature anzichè costituirne un prerequisito.

AGGIORNAMENTO 29/01/2024. La Geophysical Research Letters ha pubblicato recentemente uno studio sulla forzante dei gas serra, studio basato su misurazioni satellitari a infrarossi continue, stabili, globali e iperspettrali nel periodo 2003-2021 utilizzando uno strumento denominato Atmospheric Infrared Sounder (AIRS). Lo studio ha riscontrato un aumento della radiazione a onde lunghe in uscita verso lo spazio nelle frequenze bloccate dal vapore acqueo.