L’idrogeno a pressione atmosferica e temperatura ambiente (298°K) si trova sotto forma di gas biatomico con formula H2. E’ incolore, inodore, insapore e fortemente infiammabile. Più correttamente dovremo parlare di diidrogeno essendo le sue molecole costituite da due atomi di idrogeno. L’idrogeno forma circa il 75% della materia in termini di massa e più del 90% in base al numero di atomi. L’idrogeno è però raro in atmosfera (circa 1 ppm) e quasi assente sulla superficie e nel sottosuolo.
Pensare di usare l’idrogeno come combustibile presenta alcuni vantaggi. Brucia all’aria con concentrazioni fra il 4 e il 75% del suo volume (nel gas naturale concentrazioni tra il 5,4 e il 15%). La combustione è spontanea a 585°C (per il gas naturale 540°C). Il gas naturale esplode a concentrazioni fra il 6,3 e il 14%, l’idrogeno a concentrazioni fra il 13 e il 64%.
Ma la densità di energia dell’idrogeno liquido o gassoso (a valori di pressione correlati alla sua usufruibilità) è di molto inferiore rispetto ai tradizionali combustibili e quindi deve essere compresso a elevatissime pressioni per conseguire trasportabilità e stoccaggio. Inoltre l’idrogeno non è fonte primaria di energia come il petrolio in quanto deve essere prodotto artificialmente. Il ciclo di produzione è inefficiente poiché è sempre necessaria una energia maggiore di quella che poi si renderebbe disponibile attraverso la sua combustione. La produzione di idrogeno attraverso il metodo più semplice, ovvero l’elettrolisi dell’acqua, e il successivo utilizzo sotto forma di diidrogeno, nella reazione inversa con O2 nelle pile a combustibile, non porta ad alcun guadagno energetico (il guadagno netto energetico è negativo per le perdite legate alle dissipazioni in calore). Una maggior efficienza nella produzione potrebbe essere ricavare bioidrogeno a spese di alghe e batteri. In ogni caso l’idrogeno ottenuto da fonti solari, biologiche o elettriche, ha costi di produzione, in termini energetici, molto più elevati in rapporto alle rese ottenibili dalla sua combustione. L’idrogeno può essere ottenuto con un guadagno netto di energia, a partire da fonti fossili (es. metano), ma si tratta di fonti energetiche non rinnovabili cioè destinate comunque a esaurirsi nel tempo e in più con emissioni dirette di CO2.
Altri problemi rilevanti sono lo stoccaggio e il trasporto dell’idrogeno. Il trasporto può avvenire in bombole di gas compresso, liquefatto, oppure attraverso reti dedicate (idrogenodotti). Si può acquisire lo stoccaggio sotto pressione in bombole da 200 bar a 700 bar e in forma liquida con temperatura di −253 °C ma in bombole perfettamente isolate. Un’altra forma possibile di stoccaggio consisterebbe nella reazione chimica reversibile con diverse sostanze formando idruri metallici, oppure allo stato liquido sotto forma di ammoniaca NH3 alla temperatura di −33,4°C.
Il diidrogeno è pericoloso. Una semplice fuga di H2 a contatto con O2 può innescare una violenta esplosione oppure una fiamma invisibile e pericolosa che produce acqua in gas. All’aria il diidrogeno arde violentemente e le fiamme di ossigeno e diidrogeno puro sono invisibili all’occhio umano (è difficile identificare visivamente se una fuoriuscita di diidrogeno sta bruciando). Inoltre nei fuochi alimentati dal diidrogeno le fiamme tendono a salire rapidamente con il gas attraverso l’aria causando danni paradossalmente minori rispetto ai danni provocati da fuochi alimentati, ad esempio, da idrocarburi.
L’idrogeno ha un potere calorifico di 142 MJ/kg (il metano 55 MJ/kg). Il potere calorifico volumetrico dell’idrogeno è 11,7 kJ/litro (il metano 36,5 kJ/litro). L’idrogeno può essere prodotto mediante elettrolisi dell’acqua con una efficienza del 75%; può essere prodotto anche mediante steam reforming del gas naturale, con un’efficienza del 90%. La produzione di 1 kg di idrogeno (energia specifica di 143 MJ/kg o circa 40 kWh/kg) richiede 50-55 kWh di elettricità. Per comprimere l’idrogeno è necessaria una elevata quantità di energia (per comprimere una tonnellata all’ora a 200 bar è necessario il 7,2% del suo potere calorifico). La liquefazione dell’idrogeno richiede un’elevata intensità energetica (per ottenere 100 kg di idrogeno liquido all’ora sono necessari circa 60 MJ di energia elettrica per kg di idrogeno). Anche la conservazione dell’idrogeno sotto forma di idruro metallico di metalli alcalini è paragonabile alla compressione in termini di consumo energetico.
La distribuzione dell’idrogeno tramite tubazioni (idrogenodotti) richiede in genere nuove strutture. Le tubazioni esistenti (gasdotti) non possono essere utilizzate per l’idrogeno, a causa di rischio di perdite per diffusione, per fragilità dei materiali e delle guarnizioni, per incompatibilità nella lubrificazione delle pompe. Inoltre, essendo bassa la densità di energia volumetrica dell’idrogeno, la velocità di flusso negli idrogenodotti deve essere aumentata di oltre tre volte rispetto ai gasdotti. Nei metanodotti, rispetto agli idrogenodotti, il 20% dell’energia contenuta del gas trasportato viene utilizzata per far funzionare i compressori (0,3% nel caso del metano rispetto a 1,4% ogni centinaio di km circa nel caso dell’idrogeno).
Anche il trasporto su strada dell’idrogeno è problematico. Un camion da 40 tonnellate trasporta circa 25 tonnellate di benzina o 3,2 tonnellate di metano ma solo 320 kg di idrogeno (essendo bassa la densità energetica dell’idrogeno e tenendo conto dell’incidenza del peso dei recipienti a pressione). Se consideriamo una stazione di distribuzione di benzina e gasolio che vende 25 tonnellate di carburante al giorno il conferimento del carburante può avvenire con un camion da 40 tonnellate al giorno; nel caso dell’idrogeno sarebbero necessari 21 camion per fornire una similare quantità di energia al distributore. In realtà sarebbe possibile pensare a distributori dove l’idrogeno viene generato in loco mediante elettrolisi e poi compresso a 200 o più bar. Ma è stato stimato che in un distributore che serve 1.000 veicoli al giorno l’efficienza di conversione della potenza elettrica richiesta sarebbe di circa il 50%, richiedendo a sua volta di triplicare la capacità di generazione di energia.
L’ammoniaca viene spesso pubblicizzata come il “nuovo” modo di immagazzinare e trasportare l’idrogeno. Occorre però ricordare il costo elevato della produzione di ammoniaca e la quantità di idrogeno ottenibile dalla NH3.
Gran parte delle informazioni esposte in questo AIUTO sono state ricavate qui.
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INTEGRAZIONE 18/10/2020
Si allega un interessante commento del Dipartimento del lavoro, della sicurezza e della salute sul lavoro degli Stati Uniti in riferimento all’idrogeno:
L’idrogeno utilizzato nelle celle a combustibile è un gas molto infiammabile e può provocare incendi ed esplosioni se non viene gestito correttamente. L’idrogeno è un gas incolore, inodore e insapore. Anche il gas naturale e il propano sono inodori, ma a questi gas viene aggiunto un odorizzante contenente zolfo (mercaptano) in modo che sia possibile rilevare una perdita. Allo stato attuale è difficile dire se c’è una perdita di idrogeno perché l’idrogeno non ha odore. Inoltre l’idrogeno è un gas molto leggero. Non sono noti odori che possono essere aggiunti all’idrogeno che siano abbastanza leggeri da diffondersi alla stessa velocità dell’idrogeno. In altre parole, nel momento in cui un lavoratore sente l’odore di un odorizzante, le concentrazioni di idrogeno potrebbero aver già superato il limite inferiore di infiammabilità. Gli incendi di idrogeno sono invisibili e se un lavoratore crede che ci sia una perdita di idrogeno, si dovrebbe sempre presumere che sia presente una fiamma. Quando i lavoratori sono tenuti a combattere gli incendi legati all’idrogeno, i datori di lavoro devono fornire ai lavoratori l’equipaggiamento protettivo necessario per proteggerli da tali fiamme invisibili e da potenziali rischi di esplosione. Esistono diversi standard OSHA che possono essere applicati ai datori di lavoro che producono o utilizzano idrogeno.